martedì 10 gennaio 2012

Charles Ritz, il pescatore

Charles Ritz, il pescatore
Quando nacque, nel 1891, il suo destino sembrava segnato: primogenito del «re degli albergatori e albergatore dei re» con una dinastia (e un business) da portare avanti. Ma l’amore per la pesca lo richiamò, più forte del sangue. Fu così che ispirò un capolavoro di Hemingway e le confidenze di Coco Chanel. Preferì il silenzio dei fiumi al più chic degli hotel

La pesca a mosca è un capolavoro dell’inventiva umana. L’esca è semplicemente un amo al quale si avvolgono le piume di vari uccelli, da far volteggiare con movimenti simili agli esercizi col nastro nella ginnastica artistica e poi posare sull’acqua come fosse un insetto. In un solo gesto quindi si uniscono tre mondi: le piume degli animali dell’aria aiutano noi animali della terra a catturare quelli che vivono sott’acqua, in una magia che qualcuno considera un «hobby», ma è molto più giusto chiamarla «passione». Una passione che ha disegnato la vita favolosa di Charles Ritz.
E pensare che già alla nascita, il primo agosto 1891, il suo destino sembrava scritto. Figlio primogenito di César Ritz, «il re degli albergatori e l’albergatore dei re», aveva una dinastia da portare avanti e un impero da amministrare, ma l’amore per la pesca lo chiamò più forte del sangue.
Da subito cittadino del mondo, allattato da una balia zingara e cresciuto sui wagon-lits, si innamora della pesca sull’Andelle in Normandia, e da allora casa sua diventano i sassi scivolosi in mezzo al fiume, con l’acqua che scorre e vortica via senza fermarsi mai. E quando a 27 anni i genitori lo mandano a New York, per fare la gavetta al Ritz Charlton Hotel, lui pensa solo a perlustrare quella terra smisurata e i suoi fiumi portentosi.
Al Charlton lavora di notte, e il giorno lo passa ad ammirare le canne da pesca da Abercrombie & Fitch, che adesso è un marchio di abbigliamento alla moda tra gli adolescenti, ma all’epoca vendeva articoli da pesca e fucili. Il suo modesto stipendio non gli permette di farci spese, e allora Charles bazzica il monte dei pegni sulla Fourth Avenue, dove trova canne a due dollari e impara a sistemarle da solo. In breve il suo ufficio si trasforma in un’officina, piena di vernici e pezzi di bambù, e il direttore non lo caccia solo perché quel matto è il figlio del padrone.
Ma la svolta arriva nel 1921, quando conosce il capo indiano Moose Heart e lo convince a fargli da guida per una battuta di pesca ai salmoni. I due partono di notte pagaiando a bordo di una canoa sull’acqua scura, e mentre il capo gli racconta che è stato a Parigi con Buffalo Bill («Molto belle donne, molto bere»), Charles si incanta a guardare i cerchi disegnati sulla superficie dai pesci in cerca di cibo, e nel buio di quella notte gli diventa chiaro cosa vuole fare nella vita: «Questo virus mi ha fatto abbandonare la carriera, che si sarebbe dovuta concentrare solo sugli hotel, perché dovevo mantenere la libertà necessaria a un pescatore che si rispetti».
Per dieci anni pesca ovunque nel nuovo continente, frequenta maestri costruttori come Jim Payne e impara ogni segreto delle canne in bambù. E quando nel 1927 torna a Parigi, richiamato dalla madre vedova, invece di prendere la direzione dell’hotel in Place Vendôme decide di aprire un negozio di scarpe, che ovviamente è solo una copertura: anche lì Charles dà sfogo alla sua creatività inventando i dopo-sci, ma quello che gli interessa in realtà è il negozio di pesca clandestino che ha allestito sul retro, dove si ritrova con altri forsennati della lenza. C’è il campione del mondo Pierre Cresevaut e c’è pure il medico Tony Burnard, che ha abbandonato la professione per fondare una rivista di pesca.
Charles viene contattato dai celebri costruttori Pezon et Michel, e per loro realizza le leggendarie canne della serie «parabolic », che rivoluzionano il mondo della pesca a mosca e finiscono in mano ad appassionati esigenti come Hemingway e Eisenhower. Dopo un anno di collaborazione gratuita, Pierre Pezon desidera ricompensarlo, ma a parlargli di denaro teme di offenderlo. Gli chiede allora come può sdebitarsi, e Charles alzando le spalle risponde: «Mah, se proprio ci tiene mi può regalare una pipa». Intanto il successo delle sue canne è inarrestabile, e le riserve di tutto il mondo si contendono monsieur Ritz. Pesca i salmoni in Canada e gli squali di Agadir, passando per le trote giganti della Scandinavia e domando tutti i grandi fiumi d’Europa. E ogni volta che torna a Parigi, nel suo appartamento all’ultimo piano del Ritz, sente che questo non è il suo mondo. Nel 1953 ha assunto la direzione dell’albergo, ma lascia quasi tutto in mano al consiglio di amministrazione. Dovrebbe passare le giornate in ufficio, ma si intrattiene più volentieri con la sua vicina di casa, Coco Chanel, che abita davanti a lui da trentacinque anni e ogni volta gli racconta di quel pomeriggio che in Norvegia catturò più salmoni del duca di Westminster.
Charles dà comunque un contributo importante alla gestione dell’hotel, si inventa il bar Vendôme e il ristorante L’Espadon, e avrebbe altre idee innovative ma viene costantemente ostacolato dal consiglio di amministrazione. Perché qua non è come sul fiume, dove tutto cambia minuto per minuto e Charles decide da solo seguendo il suo istinto. Regole fisse, schemi e convinzioni immutabili gli sembrano una follia. «È un iconoclasta, che non esita a distruggere un idolo pur di avere davanti solo fatti veri e reali», scrive Hemingway nella prefazione al libro di Ritz A fly fisher’s life.
Hemingway è un grande amico, e spesso Charles lo porta a pesca sulla Cadillac di sua madre, donna esplosiva che a novant’anni anima le feste dell’hotel fino alle tre di notte. Ritz appare nel racconto A Room on the garden side, ambientato nella Parigi appena liberata, ma pochi sanno che un romanzo di Hemingway, Festa mobile, senza Charles probabilmente non sarebbe mai esistito: un giorno del 1956 Hemingway e A. E. Hotchner stanno pranzando al Ritz insieme a lui, parlano di trote e vecchie attrezzature, e Charles interrompe Ernest: «A proposito, ma lo sai che dal 1930 hai ancora un baule pieno di roba qua negli scantinati?». Hemingway ricorda che negli anni Venti Louis Vuitton ha realizzato per lui un baule speciale, ma non sa dove sia finito. Corrono a cercarlo, e all’interno trovano vestiti e attrezzature per la caccia, la pesca e lo sci, e sotto quella roba un vero tesoro: «I miei taccuini! Ecco dov’erano finiti, enfin!». Due file di taccuini neri, fittamente scritti durante gli anni parigini, che Hemingway porterà con sé a Cuba per trarne quello che chiama My Paris Book, ma uscirà postumo come Festa mobile.
Il tempo passa anche per Charles, che però non si ferma mai: fonda la rivista «Plaisirs de la Pêche», un’associazione per la salvaguardia dei fiumi e un esclusivo circolo di pesca, il Fario Club, con membri di tutto il mondo che si ritrovano ogni autunno al ristorante del Ritz. «A ottant’anni ho ancora molto da imparare… E se dopo qualche piccolo successo comincio a credermi bravo, bastano un paio di pesci che mi fregano per richiamarmi all’ordine». Arrivato a ottantacinque però, Charles si ritira dalla dirigenza del Ritz, e tre mesi dopo lascia questa terra.
Ma da vero pescatore il suo ultimo pensiero, così come la frase che chiude A fly fisher’s life, è già dedicato ai favolosi fiumi che lo aspettano nell’Aldilà: «E quando arriverete in paradiso, come non dubito che accadrà, venitemi a cercare. In poco tempo saprò dirvi dove stanno le trote più belle».
Fabio Genovesi

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